CHE SI SCIOLGANO I GHIACCIAI

LUNEDI, CHE STORIA!

Per cominciare al meglio, per quanto possibile, la settimana, ogni lunedì lasciamoci trasportare in un posto diverso, in cui magari non è lunedì, con una storia!
... L'ho già detto che odio i lunedì?

CHE SI SCIOLGANO I GHIACCIAI

 L’uomo si adatta a tutto.
Supera dolori, chiude storie, ricomincia, dimentica, finisce persino per annacquare grandi passioni.
Ma a volte basta un niente per capire che quella porta non è mai stata chiusa a chiave.
                                                                                                      Scusa ma ti chiamo amore- F. Moccia

Erano le sette e mezza di sera, il paese, stranamente deserto, sembrava uscito da una fiaba di Andersen, con il cielo chiuso, i monti che apparivano più vicini di quanto in realtà non fossero e la neve che, mulinata dal vento, le si andava a posare tra i capelli rossi creando uno strano accozzamento.
Christian, a passo sicuro, la guidava tra le vie, i capelli biondi scompigliati dal vento, un giubbotto pesante sulla solita camicia a quadri e la mano destra che, inevitabilmente, andava a cercare la sua.
-Ti presento una persona- le disse, stringendola a sé per ripararla dal freddo.
Sulla panchina verde sonnecchiava un uomo anziano, i capelli erano bianchi, così come la barba e i baffi, le gambe stese, al suo fianco il fedele bastone, e delle rughe profonde che, se avessero potuto parlare, le avrebbero aperto un mondo sconosciuto.
-Lui è Hans, mio nonno, lei è Candela, una mia amica..-
Il vecchio alzò lo sguardo, permettendole di notare i suoi occhi caldi, accoglienti come un focolare, nonostante il colore azzurro ghiaccio.
-Chi sei?- Le chiese, spiazzandola.
Stava per rispondere quando la interruppe.
-Non devi dirmi per forza cosa sei davvero, dimmi cosa vuoi essere-
-Una scrittrice- Rispose, allora-
-Ah, una scrittrice, non ne avevo mai conosciuta una prima d’ora, aspetta che te la racconto io, una bella storia..-
E fu come essere portati indietro  nel tempo, come il vento che soffia all’indietro le pagine di un  libro ormai quasi concluso.




Hans era un bel ragazzo dai capelli biondi e gli occhi chiari, lavorava nel maso del paese ed era carino e gentile con tutti.
Amava leggere, studiare, conoscere e capire, ma non amava alcuna donna, mai interessato, e questo fatto appariva così strano, agli occhi della gente, un ragazzo così carino che ancora non aveva trovato la sua metà.
La verità era che lui, una donna, l’amava, sì, ma una donna di carta.
Sorride, a ripensarci, ma era perdutamente innamorato di Anna Karenina, una donna decisa, passionale ma controllata, capace di abbandonare tutto, di morire, per amore.
Nessuna reggeva il confronto, nessuna a parte lei.
Era una giornata particolarmente bella, il sole splendeva e faceva luccicare il ghiaccio delle montagne, l’aria non particolarmente fredda sembrava chiedergli di andare a passeggiare, e lui era rinchiuso dentro al maso, tra speck e marmellata, mentre l’unica cosa che avrebbe voluto fare era prendersi il suo amato libro e sedersi a leggere sulla panchina di fronte.
Il suono della porta che si apriva lo riportò alla realtà, gli occhi azzurri si spalancarono per lo stupore.
Entrò una donna minuta, all’incirca della sua età, con i capelli scuri legati in una morbida treccia e gli occhi verdi, la camicia a quadri infilata nei pantaloni beige.
Si aggirava leggiadra, trasformando ogni suo passo in una danza, stregandolo.
Comprò due marmellate, avrebbe voluto dirle che non sarebbero mai state dolci come il suo sguardo ma si trattenne, maledetta la timidezza.
La chiusura arrivò in un baleno, il sole stava giocando a nascondino con i monti, il rosso del tramonto tingeva il grigio delle nubi, rendendo il tutto non solo paradossale, ma quasi mistico.
Non vedeva l’ora di sedersi sulla sua panchina, respirare a pieni polmoni ed entrare finalmente nel suo mondo, ma per fare tutto ciò avrebbe dovuto aspettare.
Già da lontano vide che il suo solito luogo era già occupato da qualcuno, qualcuno con una lunga treccia.
Pensò di girare i tacchi e tornare indietro, ma ormai era troppo tardi, gli occhi scuri di lei, tanto simili a quelli di un cerbiatto, ma senza la solita paura, lo scrutavano curiosi e sfrontati al tempo stesso, sulle sue gambe fasciate dai pantaloni felpati era appoggiato un libro aperto.
Tirò su col naso arrossato dal freddo e lo invitò a sedersi, come se si fossero conosciuti da una vita intera.
Si sedettero accanto, senza neanche sfiorarsi, ognuno rifugiato nel suo mondo di carta e inchiostro, nell’aria solo il rumore dello scroscio del torrente che, ignaro, scorreva placido alle loro spalle.
E così successe per molti giorni, stessa ora, stesso posto, ogni volta un po’ più vicini, fino a quando, un giorno prese l’iniziativa.
Lei, naturalmente.
Era sempre stata la più forte, l’aveva vista camminare tra i soldati come se non fosse successo niente, come se il nostro paese non fosse in guerra, come se ogni giorno non fosse stato una lotta continua per la pace.
E non era incoscienza, era speranza.
Si presentò a lui, sciogliendo la lunga treccia per stare più comoda, più in intimità, come diceva lei.
Lo fece ridere, pensare che bastasse così poco per entrare in sintonia, dei capelli sciolti e una risata sfuggita al controllo.
Si chiamava Melissa, lavorava come maestra nella scuola del paese, nata e vissuta in quel luogo che le stava tanto stretto.
Voleva viaggiare, vedere il mondo, cambiarlo.
I sogni di una ragazza giovane, penserà Hans decenni dopo.
-Ti invidio, sai? Io non lascerei mai il mio paese, svegliarsi senza l’abbraccio dei monti al mattino, sarebbe un po’ come perdere una parte di me, la strada di casa.- non riuscì a trattenersi.
-Beh, io preferirei svegliarmi su una spiaggia, o in cima ad un grattacielo, persino in una stazione, ovunque, tranne qui.  Ma dimmi, cos’è che ami così dei monti?-
-Se mi segui, e hai pazienza, te lo mostro.-
Le prese la mano in scioltezza, e cominciò a correre, solo ore più tardi si rese conto che si era dimenticato la sua “Anna Karenina” sulla panchina.
Dopo una lunga camminata arrivarono ai piedi del suo monte preferito,in riva al lago,e  si sedettero, circondati da un anello di montagne, con il cielo già scuro.
Dopo qualche secondo spuntò una stella, poi un’altra, e un’altra ancora, fino a quando il cielo non assomigliò ad un’immensa stola di raso puntellata di diamanti, diamanti che riflettevano la propria luce nei ghiacciai, dando al tutto l’aspetto di un sogno.
-Ma è meraviglioso.- sussurrò estasiata prima di voltarsi verso di lui e avvicinare inconsciamente i loro volti, assecondata da Hans.
-Forse stiamo correndo un po’ troppo..- Riuscì a stento ad articolare le parole, impegnato com’era a sfiorarle la vena pulsante del polso destro, così evidente sulla pelle bianca.
-Ah, allora è per questo che ho il fiatone..- Ansimò lei, prima di smetterla con le parole, e cominciare con i baci, e le carezze, e gli abbracci, e quella sera non sembrò più tanto fredda, avrebbero potuto far sciogliere tutti i ghiacciai.



-Ma che meraviglia!- non riuscì a trattenersi Candela.
Hans si riscosse, come se non fosse stato realmente lì, il suo sguardo si posò su di lei, trasudando tenerezza per quella ragazza che gli ricordava tanto il suo unico amore, non tanto per l’aspetto fisico ma per la luce che, prepotente, brillava nei suoi occhi.
-E come è andata a finire?-
-Voleva viaggiare, e ha viaggiato, non la vedo da oltre cinquant’anni, mi sono sposato, ho avuto figli, nipoti, ma il mio cuore, quello vero, è sempre rimasto a lei, e tutte le sere, alla stessa ora, mi siedo qui, e l’aspetto, perché lo so che, prima o poi, tornerà da me.-
-Le auguro tutta la fortuna possibile, davvero- sorrise Candela.
-E io la auguro a te, mi raccomando, raccontala tu, e rendila un tantino più romanzata, sarà carino vedere le persone tentare di distinguere il vero dal racconto, e in bocca al lupo.-
-E per cosa?-
-Per la vita-
Candela lo salutò e si affiancò di nuovo a Christian che, tornando verso il centro del paese, le sussurrò all’orecchio:- E’ morta in guerra..-







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